Un bambino o una bambina che gioca non è mai un bambino che “perde tempo,” anche se non si sta dedicando ad attività che noi adulti definiamo per lui “produttive.
Egli in realtà, attraverso il gioco, “guadagna tempo”: sviluppa la propria autonomia, la capacità di mettersi in rapporto con il mondo che lo circonda, sperimenta libertà e limiti, fantasia e realtà, confini e mediazioni.
Tra i bisogni educativi, il gioco assume una dimensione centrale e indispensabile nell’ambito più complesso della qualità della vita umana.
È dimostrato come l’esperienza ludica, nelle sue diverse espressioni, è una componente essenziale per lo sviluppo della identità.
Giocare quindi è cruciale per il bambino di ogni fascia di età, da 1 a 13 anni: attraverso il gioco si raggiungono livelli di autonomia e di competenze dal punto di vista motorio, relazionale, comunicativo e opportunità di socializzazione.
Oggi gli adulti, i genitori alle domande di rito come: “cosa faccio oggi, quando ho finito i compiti?”, “a che cosa giochiamo?”, oppure “con chi gioco?” “vuoi giocare con me?” sono chiamati a trovare risposte che soddisfano i bisogni dei propri figli dentro e fuori casa.
Oggi gli spazi all’aperto sono più ristretti, perché condizionati dai limiti imposti dal distanziamento fisico a tutela della salute, ma non può mancare per il genitore la volontà di impegnarsi alla ricerca di soluzioni “creative” in cui il bambino è portato ad inserirsi naturalmente con un ruolo attivo.
Una corda, una palla, un fazzoletto: basta rispolverare la memoria ed ecco riaffiorare i giochi da cortile più belli e divertenti!
ARANCIA, LIMONE, MANDARINO … FRAGOLA, CILIEGIA!
Salta Maggy salta la corda, non ti fermare, gridavano le mie amiche a squarciagola, salta dai!
E io lì, nel mezzo a saltare in alto a piedi uniti e ginocchia flesse, mente Rita ed Anna tendevano la corda stringendo ben saldi i capi da una estremità all’altra, facendola oscillare al di sotto dei miei piedi e al di sopra della testa.
Salta Maggy, salta, e io a 7 anni, nel cortile di casa, all’aperto, accompagnata dalle voci delle amiche che scandivano senza tregua una lenta litania... arancia, limone, mandarino, fragola, ciliegia e intanto facevano girare la corda, saltavo con tutta l’energia che avevo in corpo.
Ricordo che ogni bambina o bambino che entrava a far parte del gioco sceglieva di essere uno dei frutti che si aggiungeva alla “cantilena”: si trascorrevano così ore e ore anche consecutive a saltare.
Io avevo scelto di essere “arancia”: non perché avessi una particolare predilezione per l’agrume, ma semplicemente perché questo mi permetteva di essere la prima a scendere in campo e a contendere il record di resistenza al salto della corda, cosa a cui per nessun motivo al mondo avrei rinunciato.
Godevo di buona reputazione nel gioco tra le amiche e gli amici del quartiere, circondata da un alone di leggenda. Avvertivo i loro sguardi, i loro occhi dapprima roteanti accompagnavano i miei movimenti, e poi immobili guardavano all’insù con una fissità intensa e costante.
Arancia, limone, mandarino ... ecco i saltelli che accompagnano la spinta verticale dal basso verso l’alto delle mie ginocchia (un po’ come accade per il principio di Archimede) e mi proiettano verso il cielo. Un’emozione forte che non ho mai dimenticato e ancora riaffiora col pensiero di quei lunghi pomeriggi dove un cortile sotto casa diventa una fonte di piacere indescrivibile e ti offre l’occasione per esprimerti in campi di esperienza in cui il fare e il giocare costituiscono in parte un “mettersi alla prova” in un contesto comunque protetto come è quello del gioco.
Non ho dimenticato i volti di Rita ed Anna, la loro voce, prima scandita con frequenza ritmica e poi sempre più flebile, il movimento delle loro braccia e l’intorpidimento delle mie gambe:
un’armonia perfetta di movimenti e suoni che ancora oggi al solo ricordo mi fa sorridere!